Populorum Progressio
Enciclica di Paolo VI sullo Sviluppo dei Popoli, 1967
(libera sintesi di Alessandro Volta)
I parte. Per uno sviluppo integrale dell’uomo
L’uomo deve cooperare col Creatore al compimento della sua creazione (…) sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore.
Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione (…) Dotato di intelligenza e di libertà, ogni uomo è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza.
Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo (…) E’ un umanesimo plenario che occorre promuovere.
Il recente Concilio (Vaticano II) l’ha ricordato: ‘Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodochè i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo le regole della giustizia, che è inseparabile dalla carità’.
‘Non è del tuo avere, afferma S.Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene’ (…) Il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento dell’utilità comune, secondo la dottrina dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi. Ove intervenga un conflitto tra i diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali, spetta ai poteri pubblici applicarsi a risolverlo con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali.
Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo (…) La ricerca esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone alla sua vera grandezza.
Bisogna tendere a far sì che l’impresa diventi una comunità di persone, nelle relazioni, nelle funzioni e nella situazione di tutti i suoi componenti.
Il conflitto delle generazioni si carica di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che contenevano.
I popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio (…)
Mentre un’oligarchia gode, in certe regioni, d’una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, è privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità.
E tuttavia lo sappiamo: l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nocesse in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine.
(…) si è malauguratamente instaurato un sistema che considera il profitto come motivo essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduce alla dittatura a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell’imperialismo internazionale del denaro.
Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l’economia è al servizio dell’uomo.
La fame di istruzione non è in realtà meno deprimente della fame di alimenti: un analfabeta è uno spirito sottoalimentato. Saper leggere e scrivere, acquistare una formazione professionale, è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri.
Parte II. Verso lo sviluppo solidale dell’umanità
Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa viver una vita pienamente umana.
(…) il dovere di giustizia sociale è il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli (…) Un mondo più umano è un modo nel quale tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale.
La situazione esige dei programmi concertati. Un programma è in realtà qualcosa di più e di meglio che un aiuto occasionale. (…)
Senza dubbio, degli accordi bilaterali o unilaterali possono essere mantenuti, in quanto permettono di sostituire ai rapporti di dipendenza e a rancori, derivati dall’era coloniale, delle proficue relazioni d’amicizia, sviluppate su un piano di uguaglianza giuridica e politica. Ma incorporati in un programma di collaborazione mondiale essi sarebbero immuni da ogni sospetto. Le diffidenze di coloro che ne sono i beneficiari ne uscirebbero attenuate, poiché essi avrebbero meno ragioni di temere, dissimulate sotto l’aiuto finanziario o l’assistenza tecnica, certe manifestazioni di quello che è stato chiamato il neocolonialismo: fenomeno che si configura in termini di pressioni e di potere economico esercitati allo scopo di difendere o di conquistare una egemonia dominatrice.
La legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate (…) La cosa cambia quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano liberamente sul mercato possono condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa.
(…) una economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
Un altro ostacolo da superare è il nazionalismo (…) E’ naturale che delle comunità da poco pervenute all’indipendenza politica siano gelose di una unità nazionale ancora fragile, e si preoccupino di proteggerla. E’ pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola i popoli contro il loro vero bene.
La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino.
Tra le civiltà, come tra le persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di fraternità (…) Un dialogo centrato sull’uomo, e non sui prodotto e sulle tecniche, potrà allora aprirsi.
Gli esperti inviati in missione di sviluppo (…) devono sapere che la loro competenza non conferisce loro una superiorità in tutti i campi. La civiltà nella quale si sono formati contiene indubbiamente degli elementi di umanesimo universale, ma non è né unica né esclusiva.
Appello finale
Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, come sorgente di fraternità e segno della Provvidenza.
Noi vi invitiamo a rispondere al nostro grido di angoscia, nel nome del Signore.
Vaticano, 26 marzo 1967