(Lettera pubblicata su la Gazzetta di Parma, settembre 1999)

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Egr. Direttore,

Le scrivo a proposito della epidemia virale che ha colpito il nostro Paese negli ultimi mesi. Questa febbre, che interessa in particolare il sistema nervoso centrale riducendo pesantemente e forse permanentemente le facoltà mentali, si chiama febbre da Superenalotto, che come si evince dal nome risulta molto più grave delle forme lievi diffuse negli anni passati. Il sottoscritto si considera per il momento immune dal morbo non tanto perchè esercita la professione medica, bensì perchè fa parte di quella sottospecie umana in via di estinzione che non ha mai partecipato ad alcuna lotteria, totocalcio e grattaevinci compresi. In quanto eretico mi permetto alcune osservazioni:

– in primo luogo occorrerebbe che lo Stato, promotore di queste iniziative, informasse i cittadini in modo esplicito che questi “giochi” sono una forma di tassazione; questa tassa è considerata volontaria, ma in realtà utilizza lo stesso meccanismo mentale del gioco d’azzardo ed in quanto tale potrebbe essere considerato un vizio; a conferma di questo è sufficiente osservare che molti cittadini giocano più di quanto sarebbe nelle loro possibilità (vedi molti giocatori pensionati); lo Stato inoltre, per non ingannare il cittadino, anzichè utilizzare i Telegiornali per aumentare l’eccitazione collettiva, dovrebbe informare sulle ridottissime probabilità che il singolo ha di vincere.

– la seconda osservazione è di natura morale; mi chiedo che idea del denaro si diffonde, in particolare nei bambini e negli adolescenti, dal momento che il guadagno del proprio lavoro diventa ridicolo rispetto alle cifre che si possono vincere senza fatica confidando esclusivamente nella fortuna; secondo quest’ottica può apparire stupido impegnarsi nel lavoro o nello studio, risultando più opportuno aspettare che la fortuna si ricordi di noi; inoltre con cifre così alte si rischia, anche inconsciamente, di ragionare con la mentalità del “colpo in banca”, un solo colpo ma che permette di sistemarsi per tutta la vita.

Purtroppo il problema risulta ancora più grave se lo si esamina sotto un aspetto religioso e politico.

Per qualunque religione e per qualunque politica sociale il problema è quello di riuscire a distribuire in modo più equo le ricchezze disponibili, utilizzando la ricchezza collettiva per distribuire servizi a più cittadini possibile; questa forma di “gioco” toglie semplicemente soldi a molti per darli a pochi (se possibile ad uno); questo per me è l’opposto del messaggio evangelico ed è inconcepibile in un Paese governato da una politica di sinistra.

E’ inoltre noto che è quasi impossibile per qualunque vincitore riuscire a gestire in modo appropriato cifre così alte; è quindi possibile il paradosso che i pochissimi che riescono a vincere si rovinino, divenendo alla fine i veri perdenti

Quanto fin qui affermato al semplice giocatore sembrerà esagerato e forse lo è veramente, pertanto mi piego volentieri al realismo e formulo alcune proposte “sensate”:

– limitare il tetto di vincita o suddividerlo (almeno in parte) con premi parziali

– rendere pubblico l’uso che lo Stato fa dei guadagni delle singole giocate

– “tassare” o vincolare una (cospicua) parte della vincita per fini sociali o umanitari

– evitare di incentivare tramite i mezzi di informazione pubblici questa forma di “gioco”

Credo comunque che questo problema, che ho volutamente stressato, contribuisca a dubitare del grado di civiltà che la nostra cultura ha saputo costruire.

Evviva l’Italia, l’Italia che dà i numeri.

Alessandro Volta