Martini, l’uomo del dialogo
(riflessione nel giorno in cui il Cardinale ci ha lasciati)
In questi giorni ho letto molti articoli e commenti sulla figura del cardinal Martini, tutti positivi e ricchi di acute sottolineature sui diversi aspetti di quella complessa personalità; pochi però, a mio avviso, hanno saputo evidenziare i motivi profondi che portano a definirlo all’unanimità come l’uomo del dialogo.
Ho iniziato a leggere i suoi libri (in molti casi raccolte di interventi e discorsi pubblici) trent’anni orsono, quando venne nominato vescovo di Milano e iniziò il suo impegno pastorale (pur continando con gli studi biblici). In quegli anni iniziavo anche la lettura dei testi conciliari, cercando di cogliere lo spirto del Vaticano II, preoccupato di capire come tradurre in pratica quella nuova visione della chiesa nel mondo contemporaneo.
La risposta a molte domande mi arrivò proprio dal cardinale di Milano. Se il Vaticano II intuì il bisogno di dialogo con la realtà umana (con ‘tutta’ l’umanità come specificò Paolo VI), Martini seppe incarnare questo dialogo con ogni uomo, credente e non credente.
Il dialogo per Martini è sempre passato dall’ascolto, cioè dall’aprirsi all’altro, dal sentire ciò che sente e vive l’altro. Questo è l’atteggiamento che ho imparato da lui, e in questa dote ho colto un prezioso antidoto al pregiudizio e all’integralismo.
Martini, come tutti noi, aveva due orecchie, ma a differenza dei più sapeva usarle in maniera speciale: un orecchio per ascoltare l’uomo e l’altro per ascoltare Dio. L’ascolto di Dio attraverso la Parola (da leggere e meditare in profondità), l’ascolto dell’umanità attraverso i contatti con coloro che hanno qualcosa da dire (spesso gli ultimi, quelli in difficoltà, quelli veri).
Con sua sensibilità, umiltà e intelligenza, Martini riusciva poi a fare sintesi di questi due ‘ascolti’: così il problema dell’uomo (la questione sociale) trovava nuova luce nell’antica Parola e il Pensiero di Dio trovava un nuovo significato nell’illuminare l’attualità e la storia dell’uomo.
In questo modo per oltre trent’anni il vescovo di Milano è riuscito a rendere più leggibili, indicando ogni volta fertili strade, i tanti problemi aperti da una società sempre più complessa e difficile.
Per me Martini ha veramente realizzato lo spirito del Concilio, ma purtroppo non è stato imitato da molti, e nella Chiesa (come nella società) il suo stile non è ancora diventato la norma.
Il mio attivismo all’interno di una associazione cattolica ha avuto in lui il principale modello, e anche il mio recente impegno politico è debitore alla sua visione aperta al mondo (compreso quello dei non credenti e delle minoranze), ma saldamente appoggiata al mistero delle fede. E per Martini credere non significava possedere certezze assolute, ma più semplicemente e più umanamente poter cercare con la certezza di trovare.