Il cammino
Quella mattina il vecchio era uscito presto. Aveva programmato di attraversare il monte per raggiungere la valle di mezzo e sapeva che il cammino era lungo. Queste sue camminate erano sempre precedute da una indefinibile eccitazione; coprire lunghe distanze, spostando il suo corpo nello spazio, gli infondeva una sensazione fisica particolare, completamente diversa dai viaggi che faceva con la mente.
Per assaporare il viaggio aveva bisogno di muoversi con un ritmo adeguato, gli occorreva cioè un movimento che fosse amico del suo corpo e seguisse la cadenza del cuore e del respiro. Il cammino doveva adeguarsi anche alla capacità dei suoi occhi. Nella rara eventualità di viaggi compiuti velocemente era decisamente in difficoltà; per questo evitava con attenzione l’uso dei moderni mezzi di locomozione. Anni addietro aveva viaggiato in treno, ma i suoi occhi erano impazziti nel tentativo di fissare il paesaggio; si era trovato assolutamente incapace di ragionare su ciò che guardava e il suo cervello era come drogato. Gli avevano raccontato della velocità con cui oggi è possibile viaggiare utilizzando l’aereo, ma lo sconvolgeva l’idea di spostare il suo corpo tra due città distanti migliaia di chilometri senza poterne vivere il percorso di collegamento.
Questa mattina per fortuna poteva percorrere a piedi, nel silenzio dell’alba, la vecchia e silenziosa mulattiera che conduce alla vallata limitrofa. Aveva già iniziato a prendere col respiro il ritmo della strada, condividendone curve e inclinazioni. I suoi occhi guardavano in continuazione il terreno e il paesaggio circostante, senza però vedere nulla; il suo cervello infatti non poteva registrare immagini perchè il pensiero ne occupava ogni spazio.
Il suo era un viaggio nel viaggio. Mentre il suo corpo si spostava, entravano in lui sensazioni nuove e diverse al tempo stesso; era il noto e il già sperimentato che si innestava sulla novità del tempo presente, era il passato che tornava ad abitare il presente.
Il viaggio del corpo procedeva parallelamente al viaggio della mente. I due cammini erano strettamente in connessione ma nello stesso tempo ben distinti; avvertiva chiaramente quella strana sintesi del corpo e della mente tipica della specie alla quale apparteneva. Viaggiando avvertiva, in maniera più forte di quando rimaneva a casa, la complessità della propria identità; era convinto che ciò dipendesse dalla vitalità prodotta dallo spostarsi in uno spazio naturale, in un ambiente che, come quella mattina, lo accoglieva con disponibilità e affetto. Sentiva la strada amica e solidale.
Era la mulattiera ad accompagnarlo, impedendogli di perdersi; era la strada con le sue curve a ridurre la fatica della salita; sempre lei, tagliando il pendio, impediva possibili cadute. Nel contempo però era lui che dava senso alla strada, era lui ad animarla con il suo movimento; attraverso i sensi era sempre lui a collegare la strada al paesaggio circostante.
Come altre volte era riuscito nuovamente a meravigliarsi di un prezioso insegnamento che la strada anche oggi gli forniva; la meraviglia derivava dalla particolare prospettiva visiva per la quale la strada sembrava chiudersi e terminare laggiù, ma proseguendo il cammino il punto chiuso là in fondo appariva spostarsi in avanti, in maniera proporzionale alla velocità del suo camminare. Anche questa volta rinnovava il pensiero che a ciascuno di noi accade ogni giorno qualcosa di simile: le cose impegnative e difficili se ne stanno sempre laggiù, ma andando loro incontro esse si fanno più accessibili, e la realtà presente alla fine risulta più gestibile e sicura di come la immaginavamo.
Oggi la mulattiera tornava a ricordargli che doveva affrontare con fiducia ciò che la vita gli offriva, anche quando l’orizzonte sembrava inaccessibile. Qualora la strada si fosse effettivamente chiusa, in quel momento avrebbe capito che la sua vita era al termine.
La morte lui la immaginava proprio così, una strada che laggiù si chiude in un punto. Questo pensiero rendeva le sue profonde rughe indistinguibili dal suo lieve sorriso.
Il silenzio
Si trovava il vecchio, finalmente, nel più totale silenzio. Assorbiva e assaporava con gusto questa sensazione già sperimentata più volte.
Per lui il silenzio non era l’assenza di rumore, bensì la mancanza di ogni altra nota, come un’unica costante e assoluta nota che, senza alcuna variazione, entra e esce dalla mente. Come altre volte, ma ora con maggior piacere e più acuta consapevolezza, gustava quella nota passargli attraverso il corpo come un vento potente; lui la considerava il soffio di Dio.
Questa esperienza annullava i suoi sensi, che sembravano fondersi e potenziarsi; ne risultava un’unica potente sensazione che gli confermava di esistere. Lo spazio era per lui, adesso, un luogo fisico ma distinto dal suo corpo; non avrebbe saputo distinguere il fuori dal dentro di sé. Nella sua vecchiaia era come ritornato neonato, tutto ciò che lo circondava era parte di lui, e partecipava fisicamente al mondo che lo accoglieva
Quell’unica nota, senza variazioni e priva di ritmo, sottraeva ogni indicazione relativa al tempo; il prima, il dopo e il durante risultavano annullati. In passato questa assenza di riferimento temporale lo aveva spaventato e preoccupato, ma ora da anziano ne godeva gli effetti. In questo silenzio al di fuori del tempo assaporava con piacere infantile l’eternità alla quale da sempre si sentiva attratto.
Nell’ultimo periodo aveva iniziato a capire che solo fermando il tempo era in grado di uscire dal suo passato ormai morto e di resistere alla vana illusione del vivere per il futuro. Per gran parte della vita aveva aspettato il succedersi degli avvenimenti, rincorrendo progetti che immancabilmente gli correvano avanti. Si era scoperto circondato da persone in perenne attesa del nuovo e del diverso, assediato da una moltitudine che chiedeva al destino o a Dio di modificare la realtà presente. Lui stesso in passato era inconsapevolmente caduto in questa trappola che uccide l’esistenza.
Ora invece si sentiva fuori da questo giro infernale e al sicuro da questa potente illusione. Era consapevole che il tempo esisteva solo per le sue cellule in corsa verso la fine, mentre la sua coscienza riusciva ad esserne immune (cominciava già a non distinguere con chiarezza la vita dalla morte). Il silenzio gli regalava questa certezza e accentuava la rugosità del suo viso verso un sorriso sempre più lontano.
Il muro
In quei giorni la principale occupazione del vecchio consisteva nel ricostruire muri a secco ormai crollati. Non si può dire che avesse un progetto preciso o un obiettivo particolare, procedeva nel lavoro con grande semplicità, cercando di operare in maniera concreta, cioè con il minore uso possibile della mente; era consapevole che il lavoro nel quale si stava applicando non richiedeva l’uso dell’intelletto.
Non lavorava però solo con le mani; chiunque lo avesse osservato all’opera avrebbe notato che utilizzava tutto il corpo. Ad uno sguardo più attento avremmo intuito che in lui c’era dell’altro: i suoi movimenti non erano automatici e ripetitivi, ma presentavano una intrinseca armonia, come un albero al centro del suo campo; quei movimenti avevano un ritmo nascosto che ricordava quello delle stagioni, o quello del sole e della pioggia.
La sua mente non era coinvolta in quel lavoro, ma a muovere il corpo non era sufficiente la semplice azione dei muscoli; era come se in lui agisse una forza esterna e invisibile. Il vecchio infatti era consapevole di lavorare mosso da una energia proveniente dalla natura che lo circondava; con gli anni aveva imparato ad assorbire l’ambiente circostante e ad agire secondo le regole e i ritmi del luogo.
Per questo motivo, osservandolo lavorare, avremmo potuto scoprire che le pietre utilizzate paradossalmente non venivano scelte da lui dopo misure e calcoli; egli le disponeva senza alcuna cernita, perchè erano le pietre stesse ad offrirsi, ognuna per il posto giusto. In un modo che potrebbe sembrare miracoloso, i sassi dal mucchio caotico in cui si trovavano, si disponevano con armonia a costituire il muro, ognuno in quell’unico posto dove sapeva di dover stare.
Il vecchio prestava le proprie mani alle pietre che da sole non avrebbero potuto farsi muro. Effettivamente con l’avanzare del lavoro le sue mani erano sempre più simili, per consistenza e rugosità, alle pietre che muovevano; quelle mani diventavano lentamente pietre in movimento.
Tutto ciò aumentava in lui il piacere di sapersi accolto da quell’ambiente; quella natura a sua volta non si sentiva sfruttata dal vecchio. Per questo oltre alle mani anche il suo sorriso lentamente diventava simile a quelle pietre.
Il fuoco
Il vecchio passava una buona parte del suo tempo davanti al fuoco, non tanto per scaldarsi, quanto per aiutare la mente a mantenersi in forma. Durante la vita aveva avvertito giungergli dal fuoco una forza misteriosa che gli chiariva i pensieri e gli rafforzava le idee.
Da bambino il fuoco gli incendiava la fantasia: lo vedeva come uno spirito allegro e un po’ matto, dal quale spiccavano il volo spiritelli più piccoli che si rincorrevano fino a sparire nel buio.
Una volta diventato adulto il fuoco ha continuato a parlargli negli scoppiettii della legna; col tempo aveva imparato a decifrare i borbottii della legna bagnata e i sibili dell’aria intrappolata.
La fiamma gli raccontava storie sempre uguali e sempre nuove, perché sempre diversi erano i suoi pensieri.
Davanti al fuoco il vecchio avvertiva un profondo cambio di ritmo; nel rapporto che si creava tra lui e la fiamma i pensieri si facevano più nitidi, e anche gli angoli più nascosti della sua mente venivano illuminati da una luce nuova e calda. Le preoccupazioni e i timori, ma anche gli entusiasmi e le aspirazioni, acquistavano le sfumature della fiamma: il giallo, il rosso, il blu, il violetto, in una perenne danza di fusione e divisione fino alla inesorabile fuga verso l’alto.
Gli piaceva osservare come dalla legna, materia secca e morta, riesca a nascere un ricciolo di luce vivo e colorato, che velocemente si trasforma in fumo grigio pronto a fondersi col nero della notte.
Era consapevole di assomigliare alla legna e, come lei, di potersi trasformare. Nei momenti di stanchezza e delusione, quando era forte la sensazione di non riuscire a produrre qualcosa di buono, imitando il fuoco egli riusciva ad accendere dentro di se una luce nuova. Era questa fiamma a illuminare ogni volta un tratto di strada della sua vita, aiutandolo a percorrere qualche sicuro passo in avanti.
Davanti al fuoco il suo viso acquistava delle sfumature nuove e le sue rughe brillando rendevano il suo sorriso ancora più indecifrabile.