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A seguito dell’insediamento del nuovo governo Lega-M5S la parola ‘sovranismo’ è entrata prepotentemente nel dibattito politico e sociale, da qualcuno usata con una valenza negativa da altri invece con connotazioni positive.

Il termine indica una posizione politica che prevede la sovranità nazionale in contrapposizione a una visione sovranazionale e internazionale. E’ utile non confonderlo con il nazionalismo; non è scontato ricordare che esiste anche un sovranismo di sinistra (in pratica un nazionalista non può non essere anche sovranista, ma un sovranista può non essere nazionalista).

Il dibattito attuale  risulta purtroppo molto confuso e superficiale, con slogan e parole spesso utilizzate in maniera inappropriata, senza considerare la lunga evoluzione delle idee che hanno fondato le nostre attuali democrazie.

Le origini antiche sono da ricercare in pensatori come Aristotele, Platone, Polibio, ma per non andare troppo lontano possiamo riferirci a Jean-Jacques Rousseau e al suo Contratto Sociale. Questo testo fondamentale è stato pubblicato nel 1762, quasi trent’anni prima della Rivoluzione francese, e raccoglie le idee politiche del filosofo ginevrino, comprese quelle sviluppate nel ‘Discorso sulla diseguaglianza’ del 1755.  Quanto elaborato da R. è in buona parte influenzato dal pensiero di altri grandi che lo hanno preceduto, i principali del quali sono Locke, Montesquieu e Grozio.

Iniziamo specificando che per R. non esiste una forma unica e giusta di modello politico, ma ne possono andare bene diverse perché tutte hanno pregi e difetti. Per lui un ordinamento politico efficace e adeguato è quello aristocratico (di esperti eletti), mentre la dittatura o la monarchia andrebbero riservate a periodi particolari o a società che hanno poca capacità di autoregolazione e bisogno di molte regole; il sistema democratico invece ha per R. importanti difetti e limitata efficacia, con necessità di un alto livello di delega. Egli ritiene che una vera democrazia diretta non sia possibile, a meno di non considerare Stati molto piccoli, con un contesto di vita molto semplice e una situazione sociale a bassa diseguaglianza.

Il fondamento del pensiero politico di R. è la distinzione tra il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario (in pratica, la base dell’ordinamento moderno). E’ fondamentale che il governo non legiferi, ma semplicemente renda attuative le regole che sono state approvate (il suo è un compito principalmente tecnico, e sostanzialmente con poco potere); si potrebbe dire che con buone leggi, non è molto importante chi governa, viceversa, con cattive leggi l’efficacia dell’azione di governo è facilmente compromessa. Il potere legislativo è del popolo e per R. “ogni governo legittimo è repubblicano”; uno Stato con buoni costumi morali avrà bisogno di poche leggi e quindi di poca repressione.

Per il filosofo ginevrino né la struttura istituzionale, né un buon esecutino, né il rispetto dei vincoli normativi costituzionali e procedurali sono in grado di garantire buone leggi e un buon governo, ma occorre che alla base ci sia una adeguata ‘saldezza morale’ di tutti i suoi membri. Si conferma così l’idea sviluppata anche nell’Emilio che è l’individuo che fa la società e non viceversa.

L’obiettivo di R. è quello di “trovare una forma di associazione che con tutta la forza comune difenda e protegga le persone e i beni di ogni associato, e mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, obbedisca tuttavia soltanto a se stesso, e resti non meno libero di prima”. La sua soluzione è nella volontà generale. Il potere legislativo per R. è prerogativa del popolo, dell’insieme dei cittadini, che scelgono il bene comune, cioè quello che reca un vantaggio alla collettività. E’ questa ‘volontà generale’ a rappresentare la vera sovranità nazionale.

La ‘volontà particolare’ è invece l’interesse del singolo e deve stare fuori dal contratto sociale (R. individua in questo ambito anche lo spazio per le convinzioni religiose). Per R. non c’è il rischio di sacrificare la libertà del singolo all’interesse collettivo: la chiave di tutto sta nel far coincidere la volontà individuale con quella generale. E’ in questo senso che R. parla di ‘contratto sociale’, di un patto sul quale costruire il vivere comune. Sul potere legislativo non può esserci delega: “la sovranità, non essendo altro che l’esercizio della volontà generale, non può mai venire alienata; e il corpo sovrano, non essendo altro che un corpo collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso: si può trasmettere il potere, ma non la volontà” e “quando prevale il parere contrario al mio, ciò non significa altro se non che io mi ero sbagliato, e che quella che io credevo essere la volontà generale non era tale”. E alla fine ne risulta che ‘ciò che faccio per gli altri lo faccio anche per me stesso’.

Il contratto sociale è a rischio di fallire quando è troppo alta l’ineguaglianza tra i suoi membri, e questo – avverte R.- si realizza soprattutto quando alcuni hanno troppi beni: “nessun cittadino sia tanto ricco da poterne comprare un altro, e nessuno tanto povero da essere costretto a vendersi”. Per lui esiste una ‘religione dell’uomo’, individuale e naturale, e una ‘religione civile’, sociale e senza dogmi, di libera adesione. “La religione civile ha un solo dogma negativo: l’intolleranza”. Ricordiamoci inoltre che il suo concetto di libertà è più complesso di quello normalmente considerato: ‘la libertà consiste meno nel fare la propria volontà che nel non essere sottomessi a quella altrui; essa consiste inoltre nel non sottomettere la volontà altrui alla nostra’.

Il sovranismo di R. quindi è il potere legislativo che il popolo possiede per darsi le regole di convivenza migliori e più efficaci per il contesto sociale. Ma per lui questo sovranismo non può escludere le altre nazioni e società, e in più punti del suo saggio annuncia di voler approfondire e specificare meglio in cosa consiste il rapporto tra Stati, l’interdipendenza confederale tra nazioni. Questi aspetti in realtà non troverà il tempo per svilupparli e se tornasse oggi tra di noi apparterrebbe al gruppo dei convinti europeisti (anche se la sua Europa sarebbe prima culturale e poi economica).

E’ importante sottolineare che per R. le parole sono molto importanti e non vanno confusi concetti molto diversi come individuo e cittadino, dittatura e tirannide, popolo e folla. L’olocrazia è il potere della folla, e rappresenta la degenerazione della democrazia (così come l’oligarchia rispetto alla aristocrazia e la tirannide per la monarchia); la ‘folla’ che prende decisioni emotive, e non in base alla riflessione, fa spesso scelte sbagliate e contro il proprio interesse.

Per quanto analizzato fin qui, ritengo che Rousseau non abbia molta affinità con le attuali idee leghiste, sovraniste e nazionaliste, e neppure con l’ideologia grillina della democrazia diretta (che sia esercitata direttamente dalla ‘folla’ o tramite il web).