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DIVERSI ED UGUALI

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INTRODUZIONE

Il razzismo è la convinzione che gli uomini siano diversi, che una o alcune razze siano superiori, che le razze inferiori debbano essere dominate o discriminate da quelle superiori. Il razzismo è antico come l’uomo e nel corso della storia la maggior parte dei gruppi etnici ha cercato di imporsi sugli altri. Spesso la supposta superiorità è stata utilizzata come alibi o pretesto per interessi economici e geopolitici.

Teorizzare livelli razziali differenti ha permesso di giustificare fenomeni come la schiavitù e il colonialismo ed ha fornito un importante contributo all’intolleranza prodotta dalle differenze religiose e ideologiche.

Numerose componenti concorrono a realizzare un’opinione razzista, ma la base teorica che la sostiene deriva dalla convinzione che nella loro diversità alcuni gruppi siano più sviluppati ed evoluti di altri. Gli uomini si considerano diversi per differenti aspetti: biologico, culturale, religioso, ideologico, filosofico, tecnologico, ecc. Queste diversità non sono però separate tra di loro, ma ognuna deriva dalle altre ed alle altre è strettamente connessa. Oggi, più di ieri, sembra essere lo stile di vita e la cultura in generale ad essere maggiormente percepita come diversità tra le varie popolazioni mondiali.

Se proviamo ad approfondire i sentimenti di ostilità che le singole culture avvertono le une rispetto alle altre, ci accorgiamo che alla fine si giunge sempre a individuare delle specifiche differenze biologiche e genetiche che avrebbero portato, nel corso della storia, a produrre sostanziali differenze tra i gruppi. Questo può avvenire, come nel caso del nazismo, anche all’interno di una stessa civiltà e di uno stesso gruppo religioso.

La maggior parte dei pregiudizi derivano da supposte differenze “costituzionali” che appunto per questo sono giudicate inevitabili (il razzista non violento e buonista dichiara con fatalismo che le differenze “strutturali” delle persone non sono superabili neppure con la buona volontà).

Sottraendo al razzismo la sua base biologico-genetica è possibile togliere buona parte del pregiudizio che governa ancora molte relazioni umane e smascherare parte delle argomentazioni razziste che alla fine rivelano posizioni di comodo per giustificare prevaricazioni e soprusi.

Il razzismo spogliato della sua veste “scientifica” mostra più facilmente il suo nocciolo di banalità ed appare per quello che in realtà è: un semplice sentimento negativo verso una parte degli altri da sé. Anche per il razzismo, come per qualunque altro sentimento nocivo, è possibile mettere in atto un percorso per ottenerne la sua rimozione o il suo superamento.

ORIGINE DEL RAZZISMO BIOLOGICO

Per secoli la differenza tra gli uomini non poteva avere un supporto scientifico a causa delle scarse conoscenze che l’umanità possedeva prima del XVIII secolo.

Dal 1700 si è cominciato a studiare le differenze somatiche tra i singoli gruppi senza però poter approfondire le basi biologiche di queste differenze. Si confrontavano semplicemente gli aspetti esteriori delle persone raffrontandoli con gli altri mammiferi o con i canoni estetici di quel periodo.

Camper, Winckelmann e soprattutto Lavater contribuirono allo sviluppo della cosiddetta fisiognomica che cercava di giustificare il carattere e l’indole di una persona in rapporto ai suoi tratti esteriori (in particolare il viso). Gall, con la sua frenologia, sembrò dimostrare che dalla forma della testa derivassero le capacità dell’organo in essa contenuto.

Nel 1800 Carus cercò di dimostrare che il colore chiaro della pelle e degli occhi determinasse l’appartenenza al popolo “solare” che ovviamente si supponeva superiore al popolo “notturno” di colore scuro.

Nel 1853 il conte de Gobineau sintetizzò le conoscenze scientifiche dei due secoli precedenti e dette alle stampe il suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane. Gobineau utilizzò argomenti antropologici, linguistici, storici e culturali per dimostrare che il mondo era abitato da tre razze principali e che ognuna di queste razze era caratterizzata da aspetti fisici e caratteriali specifici. Cercò di dimostrare che la razza superiore alle altre era quella tedesca e che per mantenerla pura era necessario evitare incroci e contaminazioni con le razze inferiori.

La strumentalizzazione politica e sociale che alcuni fecero in Europa dell’opera di Gobineau permise una diffusione capillare di queste teorie, sottraendole a qualunque revisione e critica scientifica. Le conoscenze di quel periodo erano comunque insufficienti per un vero approfondimento di queste teorie.

Lapouge, e poi Knox, riuscirono ad integrare le teorie razziste di Gobineau con le teorie evoluzioniste di Darwin, mettendo in guardia dal grande pericolo della contaminazione tra razze diverse. I nuovi concetti sulla selezione naturale vennero utilizzati per sostenere la necessità di eliminare le malformazioni congenite e le malattie ereditarie.

All’inizio del 1900 Galton fondò in Inghilterra il Laboratorio di Eugenetica Nazionale per studiare come incrementare la riproduttività dei migliori e ridurre quella degli inadatti. All’inizio del secolo in tutta Europa si cominciò a studiare l’eugenetica e l’ereditarietà con finalità espressamente e volutamente razziste. Si sentenziò che le influenze ambientali incidono solo minimamente sulle caratteristiche umane.

Come le teorie di Darwin anche quelle del Lombroso vennero strumentalizzate dai gruppi europei che in politica e nell’ambiente accademico lavoravano per dare struttura al razzismo biologico.

Nella ormai delirante Europa si gettavano le basi ideologiche per le grandi dittature del XX secolo.

In particolare i teorici del nazismo avevano spianata la strada per giustificare qualunque violenza e discriminazione. Il problema razziale analizzato dalla scienza di allora veniva sviluppato a piacimento coinvolgendo argomenti religiosi (antisemitismo) e filosofici, giungendo addirittura a portare argomenti per la discriminazione delle donne, degli zingari e degli handicappati.

E’ importante ricordare che le teorie maturate in Europa tra il 1700 e l’inizio del 1900, non erano il prodotto di un piccolo gruppo di esaltati, ma rappresentavano sostanzialmente le idee ufficiali sull’argomento ed, almeno nella loro struttura centrale, erano condivise dal mondo accademico. I ceti più poveri e acculturati della popolazione non erano in grado di avere opinioni personali sull’argomento e subivano le idee del mondo più colto. In parte il razzismo scientifico confermava l’ignoranza e i pregiudizi che la maggior parte della popolazione aveva sull’argomento.

La generazione più anziana della popolazione odierna ha vissuto e studiato nel clima di razzismo biologico fin qui descritto. In buona parte inconsciamente la loro educazione infantile e giovanile ha subito questa impronta indelebile ed ogni aspetto della loro vita ha dovuto fare i conti con questa impostazione, dallo studio della letteratura classica agli avvenimenti sportivi; la stessa cultura cattolica, almeno fino agli inizi degli anni ’60, ha purtroppo contribuito a rafforzare queste idee.

NUOVE SCOPERTE SCIENTIFICHE

Dal 1960 ad oggi le conoscenze scientifiche sulla razza umana hanno subìto una potente accelerazione dallo studio della genetica; nel contempo la paleontologia e l’antropologia hanno permesso di chiarire in dettaglio l’evoluzione della specie umana nei vari continenti nell’arco degli ultime tre milioni di anni; negli ultimi decenni sono state indagate anche le influenze ambientali e geografiche sulla nostra specie portando ulteriori dati e conoscenze sull’argomento.

E’ evidente che ancora molto deve essere capito e studiato, ma ad oggi disponiamo di materiale sufficiente per rileggere in modo nuovo le teorie che hanno sostenuto il razzismo biologico nei secoli passati.

La strada intrapresa dalla scienza attuale sull’argomento difficilmente subirà dalle future scoperte una deviazione sostanziale, è più probabile prevedere ulteriori conferme alle teorie attuali.

Prima di vedere in dettaglio le recenti scoperte portate dalla genetica, è utile sottolineare che tali conoscenze non sono ancora di dominio comune e, per ora, non hanno ottenuto la capillare diffusione che meriterebbero. Questo potrebbe dipende in parte dal fatto che l’attuale classe dirigente è nata e vissuta nel clima “razzista” del secolo che si è chiuso (comprese le guerre anche ideologiche e razziali che si sono consumate nella prima metà del secolo), in parte dalla stessa scienza genetica che è una materia difficile e specialistica che necessita divulgatori e semplificatori abili. Il mondo politico e dell’informazione sembra sottovalutare l’importanza di diffonde queste conoscenze e non lavora attualmente per incrementare la cultura collettiva sull’argomento.

E’ importante che almeno le nuove generazioni possano crescere con conoscenze utili ad educarne una cultura più apertura e tollerante.

Lo studio del genoma umano (DNA nucleare e mitocondriale) oltre alle scoperte della paleontologia moderna (studio scientifico dei resti fossili umani) ha permesso di stabilire che la diffusione della specie umana ha avuto origine in una unico punto del pianeta, cioè nell’Africa centro orientale circa 100000 anni fa. Da lì sarebbe avvenuta una migrazione inizialmente verso il medioriente e il resto dell’Asia e successivamente verso l’attuale Europa (circa 40000 anni fa); in seguito l’Homo sapiens sapiens avrebbe migrato negli altri continenti (americhe e australia).

Ad oggi non esistono dati che mettano seriamente in dubbio o che contestino l’origine unica della specie umana; questo primo dato pone seriamente in dubbio che per l’uomo si possa parlare di razza anziché di specie. Ma procediamo con ordine. In medioriente la nostra specie si arricchisce dell’agricoltura (siamo a circa 10000 anni fa), passa cioè dalla attività della semplice raccolta dei frutti spontanei della terra alla produzione pianificata del cibo. Questa nuova attività porta la popolazione di allora ad aumentare velocemente di dimensione (circa mille volte in un periodo relativamente rapido). Questa conquista non sembra nata ad opera di una ristretta popolazione con capacità superiori, ma semplicemente per merito della zona geografica nella quale quella popolazione era venuta a trovarsi. Geneticamente eravamo già predisposti a sfruttare le risorse ambientali ottenendo vantaggi utili al nostro sviluppo; ogni conquista ottenuta da un gruppo, se veramente utile, si è diffusa agli altri gruppi con tempi dipendenti dai diversi ostacoli geografici; alcune conquiste hanno subito arresti nella loro diffusione quando sono giunte in zone geografiche nelle quali non erano vantaggiose.

Queste scoperte sono perfettamente in linea con le teorie evoluzioniste e le tesi di selezione naturale. Da milioni di anni la nostra specie ha mostrato di interagire fortemente con l’ambiente in parte sfruttandolo e in parte subendolo; e questo indipendentemente dalla struttura genetica della popolazione.

Ma se deriviamo tutti da un unico ceppo genetico, perché (come gli scienziati hanno osservato nei secoli scorsi) siamo così diversi? E quanto siamo diversi? Lo studio del genoma umano ha permesso di scoprire che le differenze tra due individui della specie umana sono molto piccole, anche tra un uomo e una donna, e sono differenze individuali e non di popolazione. In pratica differenziamo per idee, cultura, abitudini, ecc. ma non per struttura biologica; Ghandi e Hitler possedevano quindi lo stesso patrimonio genetico.

Lo studio del genoma è recente perché richiede una certo livello tecnologico, ma già 40 anni or sono uno studio più semplice ottenuto tramite i gruppi sanguigni era giunto alla scoperta che gli individui della nostra specie biologicamente differiscono pochissimo. Esistono solo quattro gruppi ABO e due Rh, da ciò deriva che un nero del Senegal 0+ ha sangue identico ad un bianco 0+ Irlandese.

Studiando i gruppi sanguinei già nel 1962 un gruppo di studiosi guidato da Cavalli-Sforza è riuscito a costruire un primo albero genealogico umano, stabilendo le “parentele” tra le varie popolazioni.

Lo stesso gruppo di ricercatori ha confrontato i dati dei gruppi sanguigni con i dati antropometrici (statura, forma del cranio, colore della pelle, lunghezza degli arti, ecc.) trovando molte discrepanze tra i due parametri. Negli anni successivi lo studio genetico ha permesso di capire che i gruppi sanguigni sono strettamente dipendenti dalle leggi dell’ereditarietà genetica, mentre i parametri antropomorfi dipendono in larga misura dall’ambiente e dallo stile di vita della popolazione considerata (oggi ne abbiamo un esempio nell’innalzamento della statura dell’ultima generazione che non ha seguito lo schema genetico dei genitori, bensì le variazioni delle abitudini alimentari degli ultimi anni).

Tra il 1978 e il 1991 il gruppo di Cavalli-Sforza, in collaborazione con gli scienziati italiani P.Menozzi e A.Piazza, esaminando 110 geni umani di 42 popolazioni sparse in tutto il mondo sono riusciti a costruire uno schema ancora più dettagliato e preciso dell’albero evolutivo della specie umana.

In base ai dati di queste ricerche non sembra possibile, in termini scientifici, parlare per la specie umana di razze diverse; eventualmente bisognerebbe parlare di popolazioni diverse e introdurre pertanto parametri non più costituzionali ma di tipo acquisito come sono quelli culturali e sociali.

In base alle regole scoperte da Darwin sappiamo che qualunque mutazione (casuale) si verifichi anche in un solo individuo, può diffondersi (nell’arco di alcune generazioni) a tutta la popolazione a patto di essere vantaggiosa (per quel determinato ambiente).

Per questo oggi si ritiene che in origine la nostra specie aveva la pelle olivastra e successivamente con la diffusione nei vari ambienti si è selezionato il colore di pelle più vantaggioso; il colore bianco è risultato svantaggioso in Africa (pericolo di eritemi e di tumori cutanei da raggi ultravioletti) e lì si è estinto, mentre è apparso vantaggioso nel nord europa dove i pochi raggi del sole dovevano penetrare la cute e permettere la produzione della vitamina D (indispensabile per l’assorbimento del calcio e quindi per l’ossificazione).

Anche la differenza di forma delle narici tra un africano e uno svedese non dipende da fattori genetici, ma ancora da motivi ambientali: la dimensione delle narici comporta vantaggi e svantaggi per la respirazione in relazione alle temperature e al tasso di umidità presente nelle regioni nelle quali la singola popolazione si è evoluta; pertanto la mutazione casuale narici-larghe, vantaggiosa in africa, lì si è diffusa, mentre si è estinta la caratteristica svantaggiosa delle narici strette. Viceversa è successo nelle fredde regioni del nord europa.

Oltre ai motivi geografici anche lo stile di vita e le abitudini alimentari possono provocare importanti differenze tra le popolazioni. Prima della diffusione dell’allevamento l’unico latte disponibile per la nostra alimentazione era quello materno ed era riservato ai neonati, solo loro pertanto possedevano gli enzimi necessari alla digestione del latte. 10000 anni fa con l’allevamento anche l’adulto ha potuto utilizzare il latte come alimento, gli adulti che per caso avevano l’enzima lattasi erano avvantaggiati e questa caratteristica ha potuto diffondersi. Ancora oggi le popolazioni del nord che consumano molto latte possiedono lattasi intestinali, mentre le popolazioni orientali che lo utilizzano non possiedono questo enzima; bisogna considerare che nel nord europa il latte è un alimento indispensabile perchè la ridotta esposizione solare (nonostante la pelle chiara di quegli individui) riduce la produzione cutanea di vitamina D e pertanto è necessario un alimento ricco di calcio \per compensarne il ridotto assorbimento intestinale).

Abbiamo capito che in definitiva la forma esterna del corpo può dirci molto sulla situazione geografica e climatica nella quale è vissuta una determinata popolazione, ma molto poco sulla sua storia genetica. Ma allora le varie popolazioni quanto differiscono tra loro dal punto di vista genetico ? Oggi sappiamo che ogni cellula del nostro organismo possiede circa 1 milione di geni, solo 3 o4 determinano variazioni del colore della pelle. Se consideriamo il patrimonio genetico di intere popolazioni, dal punto di vista qualitativo, non troviamo praticamente mai due tipi di un gene completamente diversi in razze diverse. Se poi consideriamo che le diverse popolazioni non sono rimaste isolate nei loro continenti, ma si sono sempre più mescolate tra di loro, diventa evidente che le differenze tra le cosiddette “razze” umane dal punto di vista biologico sono praticamente inesistenti.

E’ utile considerare che all’interno di una singola nazione è praticamente impossibile individuare un unico ceppo biologico; anche nel nostro Paese non possiamo parlare di una razza italiana e geneticamente gli studi del gruppo di A. Piazza di Torino ha individuato la presenza di ceppi greci, celtici, etruschi, antichi liguri (preindoeuropei), osco-umbro-sabellici. In Francia ci sono bretoni, germani, baschi e greci. Quando una popolazione è rimasta chiusa agli influssi esterni la variabilità delle caratteristiche fisiche esterne è rimasta molto bassa; è il caso degli ebrei che hanno mantenuto i loro matrimoni all’interno del gruppo anche durante la diaspora e la migrazione in continenti diversi. Dal punto di vista genetico però anche per gli ebrei non è possibile parlare di razza, biologicamente le differenze che potremmo trovare tra ebrei e palestinesi (o qualunque altro popolo del medioriente) sarebbe veramente irrisoria.

Anche se volessimo suddividere il mondo in migliaia di razze (e l’operazione scientificamente non sarebbe assolutamente corretta) ci troveremmo nell’impossibilità di individuare una razza pura, troveremmo invece quello che viene definito polimorfismo genetico; ognuno di noi possiede piccole variazioni che ci impediscono di considerarci parte di una razza pura. Se poi qualcuno volesse provare a creare una razza pura dovrebbe considerare che, oltre a dover impiegare parecchie generazioni per riuscirvi, arriverebbe alla fine a creare individui sterili e ad altissima probabilità di malformazioni congenite. Da tempo lo studio genetico ha dimostrato che mescolare e incrociare le caratteristiche biologiche rappresenta un vantaggio perchè rafforza la specie.

Fino agli anni 70 si credeva che la misura del QI valutasse una caratteristica innata e quindi trasmessa geneticamente dai genitori e pertanto si pretendeva di stabilire a priori il valore intellettivo di una persona. Negli Stati Uniti le misurazioni fatte sugli studenti davano ai neri un QI medio di 15 punti inferiore a quello dei bianchi. Negli anni successivi si è potuto dimostrare che il test di intelligenza in realtà comprendeva numerose componenti culturali. I test eseguiti su ragazzi neri adottati dopo la nascita da famiglie borghesi si sono dimostrati identici ai controlli con ragazzi bianchi dello stesso ceto sociale; anche i test in orfanotrofi non hanno mostrato differenze tra studenti bianchi e neri. La differenza di QI risultava invece significativamente differente confrontando soggetti agli estremi della scala sociale indipendentemente dal colore della pelle.

A tutt’oggi non è ancora stato possibile stabilire si il QI è determinato da fattori genetici o ambientali; la maggior parte dei ricercatori ritiene che l’intelligenza sia determinata per un terzo da fattori genetici, per un altro terzo da fattori ambientali individuali di crescita e per un altro terzo da fattori culturali derivati dall’ambiente sociale.

In questo contesto esaminiamo soltanto l’adattamento genetico della nostra specie, che è quello che ha prodotto le principali differente somatiche tra le nostre popolazioni; è evidente che soprattutto in un periodo storico a noi più vicino, si è inserito anche un adattamento culturale che ha ridotto le influenze dell’ambiente sul nostro organismo. La scienza dei secoli passati aveva comunque erroneamente interpretato gli effetti dell’ambiente nel determinare le differenze biologiche all’interno della nostra specie, attribuendo ai dati somatici un’importanza che non possiedono; l’analisi della civiltà di un popolo risentiva di questo errore fondamentale e risultava incapace, o quantomeno disturbata, nel giungere ad una valutazione obiettiva.

Le conoscenze scientifiche attuali ci insegnano che non esistono differenze biologiche o costituzionali tra gli uomini, ciò che ci differenza sono solo fattori acquisiti come la lingua, la religione, le idee, le abitudini e lo stile di vita. Su questo è necessario il confronto, ma solo dopo esserci liberati dai molti pregiudizi che ancora rendono difficile un giudizio razionale e critico. Possedendo le necessarie informazioni scientifiche (per quando può offrirci oggi la scienza) le nuove generazioni hanno la possibilità di formarsi una mentalità e una visione della realtà più aperta e disponibile a comprendere l’umanità che li circonda e il veloce sviluppo del mondo di oggi.

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Alessandro Volta, pediatra-neonatologo

Bibliografia essenziale
– J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi 1998.
– L. Cavalli-Sforza, P. Menozzi, A. Piazza, Storia e geografia dei geni umani, Adelphi 1997.
– L. e F. Cavalli-Sforza, Chi siamo, Mondadori 1993.
– N. Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d’Ombra, 1994.
– P. R. Sabbadini (a cura), La cultura ebraica, Einaudi, 2000.
– J. P. Sartre, L’antisemitismo, Mondadori, 1990.