La notizia è relegata a un trafiletto in una pagina interna di un quotidiano: un giovane ragazzo affetto da sindrome di Down, nato in Italia da genitori di origine albanese, finalmente al compimento dei 18 anni fa richiesta della cittadinanza italiana (in base alla legge n.91 del 1992). La domanda, attesa da una vita, viene negata perchè il ragazzo è giudicato “incapace di intendere e volere, e quindi nell’impossibilità di prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione”.
Personalmente avrei raccontato l’episodio in prima pagina, sollecitando una riflessione collettiva sul senso di appartenenza, sul diritto di cittadinanza, sulla disabilità, sull’equità sociale. Non posso realizzare questo proposito, ma posso chiedere scusa a questo ragazzo e alla sua famiglia, e ammettere che siamo un popolo di lunga storia ma di scarsa civiltà. Senza cittadinanza questa famiglia proseguirà la propria permanenza nel nostro Paese rinnovando periodicamente il permesso di soggiorno, magari ringraziando per l’assistenza sanitaria e sociale che gli viene fornita. A noi però rimane l’amarezza di aver perso un’occasione per accogliere un giovane disabile e farlo sentire una persona.
La questione viene trattata oggi anche sul Corriere ma secondo me coninuano a fare confusione. Se infatti l’interdizione ha ovviamente come premessa necessaria l’incapacità di intendere e di volere, la nomina dell’amministratore di sostegno no (in quanto l’infermità che può essere anche solo fisica e non necessariamente psichica) e, salvi i poteri che vengono attribuiti all’amministratore di sostegno, il soggetto amministrato può compiere in proprio tutti gli altri atti giuridici.
Continuo a vedere molta strumentalizzazione.
http://lacittanuova.milano.corriere.it/2013/01/29/in-italia-un-ragazzo-straniero-down-non-puo-ottenere-la-cittadinanza/
E’ giusto quello che Lei dice, ma ho pensato che non ci fosse un provvedimento giudiziale precedente perchè mi pare di avere capito che il ragazzo abbia presentato personalmente la domanda (poi rifiutata), cosa che non avrebbe potuto fare se fosse stato già dichiarato incapace. In ogni caso mi fermo qui perchè, in effeti, sarebbe necessario conoscerepiù a fondo la vicenda che, comunque, solleva delle problematiche non di poco conto. Penso invece che in un periodo in cui i giuramenti di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, che i parlamentari, i sindaci, gli avvocati, i magistrati i cittadini, fanno all’inizio dell’incarico o in altre occasioni, spesso appaiono vuoti, staccati dalla vita, sia necessario ridare un contenuto vivo a queste formule passando per le azioni che tutti facciamo ogni giorno. E se un uomo, per quanto i suoi limiti glielo consentono, accetta e cerca di essere ogni giorno rispettoso delle regole, attento al luogo in cui vive e alle persone che vi abitano, attivamente pacifico e pronto a essere solidale (perchè era questo il senso dell’elenco precedente) ecco io penso che sia davvero un buon cittadino rispettoso non solo formalmente della Repubblica.
Carla,
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Scusa, Alessandro, a costo di apparire politicamente scorretto, mi sembra ci sia una contraddizione: come fa un soggetto incapace di intendere e di volere a maturare, dalla nascita alla maggiore età, un “senso di appartenenza”? Secondo me, per un soggetto down totalmente incapace la cittadinanza è l’ultimo dei problemi (che neppure è in grado di porsi), se gli viene comunque garantita quella “assistenza sanitaria e sociale”, che non credo avrebbe avuto nel paese di origine della famiglia.Quindi, come cittadino italiano che paga le tasse e contribuisce agli oneri di tale assistenza (sul tema costi, benefici, rapporto tra contribuzione e utilizzo delle risorse da parte di soggetti stranieri ci sarebbero da scrivere pagine e pagine), fatico a comprendere la necessità di profondersi in scuse.
Peraltro nessuno impedisce agli altri famigliari di chiedere e ottenere la cittadinanza, avendone i requisiti.
SIamo un popolo di lunga storia, di grandissima civiltà (la preghiera degli alpini parla giustamente di millenaria civiltà cristiana), ma siamo anche la culla del diritto – che va rispettato sino a che non viene modificato per volere della maggioranza – e, infine, un popolo dal portafoglio ormai vuoto, che dovrebbe acqusire la consapevolezza che non può farsi carico di tutti i problemi dell’universo mondo. Un po’ sì, ma non tutti! Cari saluti. Gabriele
La questione sta nell’automatismo tra sindrome di down e incapacità di intendere e volere che mi sembra superficiale e aberrante e, sicuramente, scorretta giuridicamente. La incapacità di intendere e volere non può essere presunta ma deve essere accertata giudizialmente dopo una valutazione fatta caso per caso.Tra l’altro, l’ho vista dichiarare solo in casi gravissimi. Non possiamo permettere neanche culturalmente che si associ a un disabile, o a un’affetto da qualche patologia l’idea di una persona che non ha la capacità di intendere e volere da cui poi facciamo discendere un’incapacità a sentire, ad avere sentimenti, a sentirsi escluso,insomma, a non avere una vita interiore. Ad ogni modo, tutti i ragazzi down che ho conosciuto sarebbero stati in grado di rispondere a questa domanda “ti piace abitare qui?, sei disposto a rispettare le regole che ci sono qui ogni giorno come ad esempio cercare di dividere il pattume, non buttare le cose per strada, vivere in modo pacifico, lavorare per quello che sei capace e aiutare chi è più in difficoltà di te?” Non è forse questo un giuramento di fedeltà alla Repubblica?
Carla
Attenzione, non è corretto modificare le premesse; Alessandro dice testualmente: il ragazzo è giudicato incapace di intendere e volere; quindi riferisce di un “giudizio” avvenuto. Non si parla di un qualsiasi ragazzo down, ma di un ragazzo ritenuto incapace.
Non Le sembra irrispettoso associare il giuramento di fedeltà alla Repubblica alla raccolta differenziata?