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Rousseau 

Nel 1754 Jean-Jacques Rousseau accetta la sfida lanciata dall’Accademia di Digione e scrive il “Discorso sulle origini e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini”. Nella declamazione iniziale elogia il governo della sua città – Ginevra – e sottolinea che il luogo ideale in cui vivere è quello in cui “nessuno nello Stato possa dirsi al disopra della legge, e che nessuno dal di fuori possa fare imposizioni che lo Stato sia costretto a riconoscere; infatti, qualunque sia la costituzione di un governo, se vi si trova un uomo solo che non sia sottomesso alla legge tutti gli altri sono necessariamente in sua balia”. E’ evidente il riferimento a Silvio Berlusconi…. Ma proseguendo nella lettura ho trovato un altro passaggio di grande attualità. Descrivendo il luogo in cui non avrebbe voluto vivere (perché mal governato) Rousseau scrive “avrei fuggita una repubblica in cui il popolo, credendo di poter fare a meno dei Magistrati o di poter lasciare loro soltanto un’autorità precaria, si fosse imprudentemente riservata l’amministrazione degli affari civili e l’esecuzione delle sue stesse leggi”. In quegli anni la nostra nazione non esisteva ancora, ma le basi concettuali di un governo democratico erano già ben presenti in Europa e nell’arco di poco tempo avrebbero iniziato a dare frutti, almeno nelle nazioni con maggiore storia e tradizione.

Per chi non avesse letto questa opera di Rousseau riporto alcuni passaggi che possono illuminare, ancora oggi dopo oltre due secoli, il nostro cammino umano. Qual è dunque per il filosofo ginevrino l’origine della disuguaglianza? All’inizio della seconda parte scrive: “il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire ‘questo è mio’ e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: ‘guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!”. La riflessione prosegue analizzando i motivi e le modalità in cui l’idea di proprietà si è sviluppata e imposta: “dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, dal momento che era utile ad uno solo di avere provviste per due”.

Quella che Rousseau chiama ‘uguaglianza naturale’ si è persa nel corso dello sviluppo umano ed è stata sostituita ‘dall’uguaglianza giuridica e politica’, la quale si è però dimostra falsa e inefficace perché ha prodotto di fatto una ‘disuguaglianza economica’ stabile e irreversibile. Questa riflessione di Rousseau anticipa di oltre un secolo quella di Marx e Engels, ma è successiva a quella di Tommaso Moro che nell’Utopia (1516) critica lo Stato moderno che per lui serve solo a garantire i privilegi di pochi ricchi e potenti a danno della maggioranza dei cittadini comuni (e a questo proposito ricordiamoci che la servitù della gleba in Russia è stata abolita solo nel 1861). In questa ingannevole società, continua Rousseau, “tutti corsero incontro alle loro catene credendo di assicurarsi la libertà; perché, essendo già dotati di ragione per percepire i vantaggi di un’istituzione politica, non avevano abbastanza esperienza per prevederne i pericoli”.

Per il filosofo ginevrino il diritto del più forte (nel senso di ricco o potente) non può essere di fatto considerato un diritto, perché la base del diritto è per sua natura morale e non può che fondarsi sulla libera decisione di una volontà libera. In questo senso, sostenere che ‘non ci sono alternative’ o che la ‘scelta è obbligata’ configura un rapporto di forza che annulla la logica di diritto e di governo democratico (quello cioè di tutti e per tutti): “è dunque incontestabile – ed è la massima fondamentale di tutto il diritto politico – che i popoli si sono dati dei capi per difendere la loro libertà e non per asservirla”. Trovo che anche questa riflessione risponda bene all’attuale situazione politica italiana.

Un’ultima piccola ma importante idea. La disuguaglianza, secondo Rousseau, deve essere vista nei suoi effetti dinamici – oggi diremmo, con un’ottica sociologica – che la portano inevitabilmente a crescere a dismisura (non è quello a cui assistiamo oggi dove la crisi incrementa la forbice tra ricchi e poveri?). La spiegazione metaforica di Rousseau è particolarmente efficace: “infatti quando un gigante e un nano camminano sulla stessa strada, ogni passo che faranno entrambi, darà un nuovo vantaggio al gigante”. Semplicissimo, e incontestabile.