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Questa enciclica presenta numerosi livelli di lettura e affronta diverse tematiche di grande rilevanza per il nostro mondo contemporaneo. L’aspetto ecologico-ambientale viene strettamente intrecciato a quello antropologico e sociale; ne derivano importanti conseguenze sociali che portano la riflessione del Pontefice a includere temi non direttamente ‘naturalistici’, come la speculazione finanziaria, la politica, la tecnocrazia, la proprietà privata (“su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale”).

La parola chiave di questa enciclica è ‘ecologia integrale’, e con il termine integrale il Papa intende una visione dell’ambiente comprensiva degli aspetti naturalistici e di quelli sociali: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (139). Al paragrafo 67 si parla di “reciprocità responsabile tra essere umano e natura”.

Il concetto di ‘cultura ecologica’ per Papa Francesco “non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico” (111). Con stile diretto e asciutto la ‘crisi ecologica’ è definita una “manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità” (119). Ne deriva che “non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia” (118). Per il Papa siamo di fronte a “una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione” (202).

Una parola che ricorre spesso nel testo è ‘sobrietà’, a volte associata a ‘libertà’ e ‘umiltà’. Un altro termine utilizzato frequentemente, nella sua valenza negativa, è ‘tecnocrazia’: “il paradigma tecnocratico che tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica” (109). Un altro termine-concetto molto efficace utilizzato da Papa Francesco è ‘globalizzazione dell’indifferenza’. Le parole ‘poveri’ e ‘terra’ sono spesso associati: “…ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”.

Il testo è ricco di citazioni e riferimenti a scritti e discorsi dei precedenti pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma anche del teologo Romano Guardini. Nella parte introduttiva colpisce il lungo riferimento alle parole del Patriarca Bartolomeo della Chiesa Ortodossa: “E’ nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta” (8).

Numerosi (e per me inaspettati) riferimenti derivano da scritti e documenti di Conferenze Episcopali sparse per il mondo, che negli ultimi anni hanno preso posizioni precise e decise sul tema dell’ambiente e dei rapporti umani. Nel testo compaiono citazioni di 18 conferenze episcopali appartenenti a tutti e cinque i continenti, con una predominanza di quelle dell’America del Sud (8 contro le 2 europee). Sui temi strettamente sociali ed economici sono presenti diversi brani tratti da documenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che l’enciclica del Papa trova così il modo di divulgare e valorizzare.

La critica all’economia e alla politica è netta ed esplicita: “la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente (…) L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati” (54). “La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune a lungo termine” (178).

Con questo enciclica Papa Francesco conferma di possedere una mente da gesuita e un cuore da francescano; dimostrando di aver profondamente maturato le idee del Concilio e l’invito/intuizione di aprirsi ai problemi del mondo che ne è derivato. Bergoglio è figlio di immigrati che dall’Europa sono sbarcati in America Latina; questa profonda esperienza di vita gli consente di costruire un ponte tra culture diverse, limitando l’eurocentrismo che da sempre caratterizza la visione della Chiesa cattolica.

L’enciclica non risparmia critiche allo stile di vita e alla gestione politico-economica del mondo occidentale, ma si apre e si chiude con parole di luce e di speranza. In conclusione troviamo due intense preghiere di ringraziamento a Dio Creatore e nel titolo ritroviamo il canto di lode dell’umile Francesco d’Assisi. E’ proprio da questa lode piena di gratitudine per la vita e di speranza per l’avvenire che può venire il coraggio e l’energia necessarie per cambiare il mondo e salvare il pianeta con tutto quello che contiene. Senza dimenticare che “l’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore” (77).