Caro Papa Francesco,
ho avuto molti dubbi se scriverLe questa lettera, poi ho pensato che Lei ha l’età di mio papà e che avrei potuto rivolgermi a Lei come a un padre. Ho 56 anni, vivo a Parma, faccio il pediatra, ho quattro figli uno dei quali in affido. La fede in Cristo ha guidato la mia vita. A differenza di quanto è successo a molti amici e parenti, nel corso degli anni la mia fede si è rafforzata, è diventata più matura e profonda per merito delle vicende della vita. La mia partecipazione alla vita ecclesiale è sempre stata molto attiva e ho assunto ruoli associativi di responsabilità nell’ambito della mia diocesi.
Negli ultimi anni avverto però un disagio sempre più profondo, in grado di mettere in dubbio la mia partecipazione, convinta e attiva, alla Chiesa Cattolica. Mi riferisco alla ‘questione femminile’ e al ruolo delle donne nelle nostre comunità e nei vertici ecclesiastici. Provo imbarazzo e rabbia assieme nel vedere la ricchezza e i doni che perdiamo nel tenere tante donne, laiche e religiose, ai margini, affidando loro ruoli accessori e subalterni. Ogni giorno incontro donne che potrebbero adeguatamente svolgere i compiti pastorali da sempre affidati esclusivamente agli uomini, donne in grado di arricchire le nostre comunità con idee e riflessioni significative (anche l’approfondimento teologico attende da secoli di arricchirsi della visione femminile), invece le fermiamo al ruolo di catechiste, lettori e accoliti dell’eucarestia. Oltre questa soglia per loro non è possibile andare.
Nella nostra attuale società persiste ancora una asimmetria di genere nociva, in grado di produrre discriminazione e, nei casi più estremi, gravi episodi di violenze e soprusi nei confronti delle donne. Fortunatamente la struttura patriarcale e l’esercizio del potere maschile nella nostra società sta lentamente cambiando. La Chiesa Cattolica continua fortunatamente a esercitare un ruolo importante nella regolazione dei rapporti sociali e umani, riconoscere alle donne funzioni egualitarie a quelle degli uomini offrirebbe un contributo fondamentale alla attuale società civile. Gli effetti positivi coinvolgerebbero diversi livelli, dentro le famiglie nella relazione di coppia, tra le giovani generazioni, nell’ambito educativo, negli ambienti lavorativi e nei diversi contesti istituzionali. Un libro comparso in questi giorni in libreria si intitola “Dio odia le donne”; è una provocazione (anzi, una bestemmia), sappiamo benissimo che non è vero, Dio ama ogni creatura indipendentemente dal genere, ma forse è la Chiesa che, con la sua storia, deve difendersi da questa accusa.
Negli anni ho seguito le riflessioni relative al diaconato e al sacerdozio femminile (dal documento Inter insigniores del 1977 alla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994 e le più recenti dichiarazioni di Papa Benedetto del 2010), ma sinceramente le tesi presentate mi sono sempre apparse molto deboli e poco convincenti, sia dal punto di vista laico sia da quello teologico. L’argomento della Tradizione vale per il ruolo delle donne, ma non per molti altri aspetti liturgici e della prassi religiosa, che nel tempo hanno visto profondi e utili cambiamenti (ad esempio l’uso della lingua corrente e la lettura personale della Parola).
Altre confessioni cristiane, pur con percorsi lunghi e difficili, hanno deciso di non privare le loro comunità dei doni e della ricchezza femminile, senza per questo minare in alcun modo le loro radici che restano saldamente ancorate alla stessa Parola alla quale anche noi ci riferiamo; penso ad esempio alla Chiesa Valdese Metodista che nella mia città è da tempo guidata da donne di grande energia e valore.
Allora torno a parlarLe da figlio, felice di essere nato e cresciuto battezzato, ma in difficoltà a sentirmi parte di una famiglia che non tratta con giustizia tutti i propri figli. In questi anni la Sua umanità e misericordia ha dato segni visibili, la sua capacità di ascolto è stata straordinaria, il Sinodo sulla famiglia unico per metodologia e forma. Se le donne di questo pianeta, in questo momento della storia dell’umanità, hanno doni da portare alla Chiesa, perché non dare inizio a una riflessione e a un dibattito serio e ufficiale?
La ringrazio per l’ascolto e l’abbraccio come un figlio.
Caro Luca, grazie per la tua utile riflessione. Io credo che l’attuale ordinamento della Chiesa Cattolica perpetui quel pericoloso misoginismo che anche tu consideri negativo. Penso anche che i ruoli maschili e femminili all’interno delle nostre famiglie siano radicalmente cambiati, al punto da aver reso inattuale e stonata la prassi cattolica che vede sempre un uomo sul pulpito e che obbliga le donne a confessarsi sempre e solo esclusivamente da un uomo. Il problema esegetico e teologico se lo è posto il sinodo valdese nel 1948: dopo diverse commissioni e quasi vent’anni di dibattito, hanno istituito il sacerdozio femminile, semplicemente con la motivazione che i doni che lo Spirito ispirava alle donne non potevano restare ai margini della comunità o in posizione di subalternità (ad oggi hanno il 30% di pastore che guidano le loro comunità).
Caro Alessandro, la Sua lettera è ricca di molti spunti interessanti e validi. È sopratutto scritta con un cuore pieno di amore per l’uomo e per il Signore. Ma non mi convince del tutto sopratutto su un piano teologico. Mi sovviene una bella frase del Beato Papa Paolo VI che sul tema scrisse che molte osservazioni a riguardo erano ragionevoli ma che sul tema del servizio divino era suo dovere dire di no per il semplice motivo che nelle scritture, di cui il Papa è il primo custode, il sacerdozio femminile non è previsto. Ma a tale osservazione vorrei aggiungere una riflessione profondissima di Papa Benedetto XVI in occasione della giornata della famiglia: Egli sosteneva che la famiglia ripropone in terra la S. Trinità. E che alla famiglia è demandato il compito di collaborare alla meraviglia della perenne creazione divina. Nella diversità dei compiti della coppia uomo e donna vi è un riflesso del mistero trinitario. Tutto ciò beninteso non può giustificare il miosoginismo della Chiesa, il perverso gusto del potere, lo scarso coraggio,lo sterile conservatorismo di molti Vescovi e Cardinali. Questo problema riguarda più in generale la scarsa partecipazione dei laici alla vita della Chiesa, la ancor timida espansione del diaconato. Un certo clericalismo da cui neppure i laici sono capaci di scrollarsi.