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Finalmente un giorno feriale senza turni in ospedale e neppure una riunione di staff. Le previsioni meteo non sono perfette, ma l’occasione è da non perdere. Posso partire per il monte Orsaro (1830 metri) per una ‘solitaria in quattro’. I compagni di salita sono Fabio, Lele e il Cocco, loro hanno sempre tempo, basta chiamarli e arrivano. Fabio è un concentrato di energia e di entusiasmo, non l’ho mai visto stanco o demotivato. Lele è nato ingegnere, molto riflessivo e sempre preciso, anche sui tempi di marcia (per lui arrivare  troppo velocemente in cima è come essere in ritardo). Il Cocco ha la montagna dentro da sempre, infatti è guida di professione, è il nostro Bonatti, equilibrato, attento, ma con la passione quando serve.

Partiamo dai Lagdei molto presto, quando ancora l’umidità della notte esalta i profumi del sottobosco. I larici in questa stagione si stanno svegliando dopo un inverno un po’ troppo mite. Le foglie sono verdissime e tenere, viene voglia di mangiarle; sono anche un po’ vellutate e semi accartocciate, come era il mio Lorenzo quando è nato. Le foglie vecchie dell’anno passato sono macerate sotto la neve, praticamente un morbido tappetino che ammortizza il piede e rende piacevole il passo. Saliamo lenti. Quando hai la felicità in mano non devi correre da nessuna parte, perché sei già lì dove vuoi essere.

Alla capanna della Braiola ci fermiamo a salutare Roberto, da quando è caduto in Grigna nel 1978 lui vive qui. Davanti al bel muro a secco del rifugio faccio notare ai tre amici la potenza discreta dei sassi piccoli, che facendo da cuneo rendono stabile tutta la struttura. Si mettono subito a ridere all’unisono, sembra che sia la decima volta, da quando ci conosciamo, che ripeto questa osservazione (ma se è profonda, perché no? vabbè…). Adesso il pendio si fa ripido. Il mirtillo sta mettendo le prime gemme, ma per ora domina il marrone del fusto e più in alto l’erba è ancora beige e piegata per la neve sciolta da poco. Fra un mese questo grande pendio esposto al sole darà il meglio di sé. Intanto però è tutto un fiorire di grosse viole selvatiche e qualche rara genziana.

Arrivati alla sella dell’Orsaro si schiude davanti a noi la bella valle del Magra. Ci sembra di essere al balcone a mirare i nostri possedimenti. In effetti oggi questa valle è nostra, la dominiamo e la ammiriamo. Lei sembra gradire e ci restituisce colori e sfumature che sono solo per noi. I tre compagni iniziano a salire slegati per la crestina rocciosa, per loro non è pericoloso, ormai non possono più cadere. Io preferisco la prudenza e prendo il sentiero che aggira la cresta. Saliamo felici le ultime roccette, apprezzando la nostra arenaria appenninica, che con un po’ di fantasia ricorda il granito delle Alpi. Arrivati in cima godiamo del panorama. E’ il solito, già visto decine di volte, ma in realtà è sempre nuovo, perché siamo noi a cambiare continuamente. La nostra vita fa cambiare anche le cime dei monti. Sfrutto questo momento felice per annunciare che fra poco diventerò nonno. Io sono emozionato, loro invece piuttosto  invidiosi. Mi immaginano già con il nipotino, la sua borraccia e il suo zainetto mignon, a calcare i sentieri dell’appennino.

Da qui si vede bene il Succiso, con i suoi canaloni, da dove è caduto Fabio. E’ lui con orgoglio a farcelo notare. Era il monte che amava di più, e forse lo ha amato troppo. La slavina del Cocco invece da qui non si vede, lui era già una guida internazionale…Per Lele invece, nonostante le tante arrampicate, la caduta è stata particolare, lui è caduto ‘dentro’ di sé, per un grumo di cellule del suo cervello che si sono ammutinate e non ne hanno voluto sapere di rientrare nei ranghi. In cima ci fermiamo per mangiare qualcosa: ciò io mangio e loro fanno finta, solo per farmi compagnia. Intanto Lele controlla i tempi (siamo arrivati con dieci minuti di anticipo, ma fa attenzione a non farlo notare).

Appena il Cocco vede la croce del Marmagna, subito propone di intraprendere l’invitante traversata. Ma Fabio è già disteso sul prato con un filo d’erba in bocca, e rapito dalle nubi che corrono se ne esce con un: “Alessandro, ma è vero che hai scritto degli articoli sulla teologia processuale?”. “E’ vero, e ho anche sostenuto che evoluzionismo e creazionismo non sono in antitesi, ma si giustificano e si completano a vicenda”. L’ora successiva passa in discussioni tra il teologico e il filosofico, fino a quando non cadiamo in un “ti ricordi quella sera, la bufera sul Bianco”. Altra ora di ricordi e la traversata Orsaro-Marmagna è inevitabilmente saltata. Convinco tutti a scendere al lago Santo per poi prendere il sentiero Panoramico. “Ecco la tua solita mania per gli itinerari ad anello”. “E allora?”…

La discesa avviene quasi di corsa. Le loro caviglie non hanno fatto in tempo a invecchiare, le mie sì, e poiché invecchiare è davvero un privilegio, mi precipito dietro di loro senza risparmiarmi. Scendere rapidi può sembrare imprudente, in realtà è la discesa che ti attira, ed è l’entusiasmo e la soddisfazione della cima a spingerti giù. Passiamo il lago Padre (ma è solo una torbiera che si dà delle arie) e arriviamo a un lago vero, il lago Santo. E’ sempre quel matto di Fabio a lanciare la domanda: “ma poi perché si chiamerà Santo?”. Evito di descrivere le numerose e assurde ipotesi formulate, ma alla fine arriviamo a concordare che si chiama così perché ‘è un lago buono’.

Al rifugio trovo il gestore che prende il sole sulla panca esterna. Alla domanda di rito “da dove vieni”, rispondo “Siamo stati sull’Orsaro”. Si guarda intorno stupito e risponde “Siamo…?”. Mi siedo di fianco a lui guardando le increspature dell’acqua che sembrano piccole rughe. “Ok, hai ragione, scusa, se hai tempo ti racconto…..”. Sono tornato a casa soddisfatto di questa ‘solitaria in quattro’, pensando che quando dovrò andarmene, che sia domani o fra trent’anni, mi farà piacere se qualcuno di buona gamba decide di portarmi con lui sull’Orsaro