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In un recente saggio la psicologa Letizia Ciancio scrive: ‘la dimensione identitaria dell’uomo è molto più instabile di quella della donna, e necessita di continui aggiustamenti in relazione alle contingenze storiche e culturali’ (Essere padre. Essere madre, 2015). Per secoli il nostro contesto storico e culturale ha promosso un’idea di maschio autoritario, che esercita dominio e potere: l’eroe guerriero. Il padre, di conseguenza, si presentava come colui che dà il nome, il patrimonio, che rappresenta l’onore e la legge, che decide il destino dei figli e delle figlie (oltre che della moglie) con autorità e, se necessario, con la forza.

L’effetto di questa evoluzione antropologica è ben descritto nei libri di storia, ed è oggi ancora visibile negli eventi di cronaca con donne violentate e uccise, bambini maltrattati e violati; anche la prostituzione e il turismo sessuale sono manifestazione del potere maschile e della sottomissione femminile. Dalla fine del 1700 questa visione ha iniziato ad essere messa in discussione: l’illuminismo ha criticato decisamente la patria potestà e la rivoluzione francese ha sancito la totale uguaglianza giuridica dei coniugi (anche se il codice napoleonico del 1804 ha in parte rinnegato questa conquista). Alcuni pensatori più illuminati avevano già iniziato un lavoro di decostruzione della figura paterna tradizionale; il più importante è stato John Locke che nei ‘Pensieri sulla educazione’ del 1693 auspicava una relazione padre-figlio improntata sulla intimità e la tenerezza, esente da coercizione e punizioni corporali.

Ciononostante, nel ‘900 abbiamo assistito a feroci dittature e conflitti mondiali, dove l’uso della violenza e del sopruso ha trovato la sua massima espressione nei lager nei quali le minoranze hanno subito il potere delle classi dominanti. Ma è grazie al cambiamento nato con i movimenti degli anni ’60, in particolare quello femminista, che ha iniziato a prendere forma una nuova visone del maschile e del femminile. Oggi stiamo vivendo questo profondo cambiamento, definito dagli studioso una vera e propria ‘mutazione antropologica’; in realtà non si tratta di ‘mutazione’ ma più semplicemente di riportare a un nuovo e più sano equilibrio i rapporti umani, a partire da quelli di genere.

In questa transizione la paternità rappresenta un momento altamente sensibile e paradigmatico. Il cambiamento da uomo a padre costituisce un’esperienza unica, in grado di portare a un ripensamento profondo dell’esperienza del corpo maschile, delle sue emozioni e sensibilità. L’esperienza generativa può stravolgere completamente le categorie della forza e della debolezza, e riscrivere funzioni sociali che per secoli sono servite ai maschi dominanti per esercitare il loro potere. Durante il parto la forza e la potenza sono femminili, il maschio collabora mantenendo una posizione subalterna e marginale. La potenza creatrice della donna è biologica e simbolica al tempo stesso, in lei si fondono immanente e trascendente (occorre solo l’umiltà e l’onestà sociale per riconoscere e valorizzare questa oggettiva realtà). E’ la madre che crea il padre, e ogni padre deve adottare simbolicamente anche il figlio biologico. La forza maschile dell’eroe guerriero, o del dittatore, è forza distruttrice, quella femminile è forza creativa. Si passa dal potere alla potenza, dall’eliminare vita all’aggiungere vita. La forza maschile tradizionale invece arriva a eliminare l’oggetto d’amore, la compagna o i figli, e finisce con trasformarsi in debolezza; un agire che non riesce a controllare rabbia e gelosia, e dove l’impulso non trova controllo e contenimento.

Dopo la nascita del figlio un padre partecipe e coinvolto manifesta commozione fino alle lacrime, e questo rappresenta la sua forza; l’uomo riesce a far fluire i proprio sentimenti umani di felicità e tenerezza, non ne ha timore e riesce anche a manifestarli pubblicamente e a socializzarli. Questa nuova energia maschile è rimasta per secoli nascosta, misconosciuta, socialmente rifiutata. Nasce così la forza dell’uomo padre, che riesce a prendersi cura di un essere debole e indifeso; un padre protettivo anche verso la madre, che contribuisce attivamente all’azione generativa senza delegare ad altri questa importante funzione. L’esperienza creativa nel maschio, come nella donna, produce cambiamenti profondi, portando a una diversa visone dell’esistenza individuale e collettiva.

Il padre partecipe fin dall’inizio, senza alcuna emulazione del femminile, attiva dentro di sé competenze e sensibilità nuove e sconosciute, in grado di demolire gli antichi stereotipi della forza e delle virilità. Accompagnando i figli nella loro crescita, saprà essere un padre accogliente e attento, capace di rinunce e sacrifici quando necessario, in grado di manifestare amore senza alcun timore; all’occorrenza sarà capace di indicare regole e norme, ma in maniera affettiva e senza bisogno di esercitare alcuna autorità, perché saranno la relazione intima, il dialogo e il confronto a guidarlo.

L’esperienza generativa condivisa, porta grande beneficio anche alla coppia genitoriale, perché i compiti e i carichi di cura risultano più equi e suddivisi. Gli studi mostrano che le madri con un partner supportivo sono meno ansiose e presentano un minor rischio di depressione o emozioni ambivalenti. Una comunicazione efficace all’interno della coppia permette di condividere l’esperienza del crescere un figlio e di assumere assieme decisioni e responsabilità. In questa dinamica è difficile che possa emergere conflitto e violenza, anche solo verbale; ne deriva una certa protezione anche dal rischio di separazione, e nell’eventualità che questo accada, i padri che partecipano fin da subito all’accudimento si mostrano più responsabili e interessati ai figli anche dopo molti anni.

La qualità della relazione di coppia, basata sulla soddisfazione di entrambi e sulla stima e fiducia reciproca, porta un elevato beneficio allo sviluppo sociale ed emotivo dei figli (sono numerosi, anche se recenti, gli studi a questo riguardo) e produce effetti positivi lontani nel tempo, quando i figli diventeranno loro stessi genitori e trasmetteranno ai loro bambini quanto ricevuto dai loro genitori. La maggior parte degli uomini violenti ha subito violenza nell’infanzia o ha vissuto in un contesto nel quale la violenza e la prepotenza erano la regola. Dobbiamo interrompere questa spirale perversa che viene da molto lontano. Dobbiamo ripartire dalle nuove nascite e dai nuovi padri. Questo porterà a una nuova società, più equa e pacifica, più umana.