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Sappiamo che il legame tra la mamma e il suo bambino ha il suo momento speciale nelle prime ore dopo il parto, quando giunge al termine la fatica e la paura del travaglio e avviene l’incontro che ti cambia la vita. L’esperienza fisica l’uno dell’altra è talmente intensa da lasciare segni indelebili nella mente e nel cuore; si tratta di un processo ancestrale, regolato da ormoni specifici che permettono la totale dedizione e sacrificio della mamma verso la sua creatura. Anche il padre può vivere un’esperienza ugualmente intensa e unica, con una duplice direzione: verso il figlio e verso la compagna, la vera artefice del mettere al mondo. In un’ottica cogenitoriale nasce una famiglia e la precedente relazione di coppia subisce un profondo rinnovamento.

Da alcuni decenni le equipe che assistono il parto si sforzano di non ostacolare questa importante esperienza; le procedure sono diventate più rispettose delle attese e della sensibilità delle coppie; gli interventi specialistici sono riservati alle situazioni critiche, così da mantenere elevati i livelli di sicurezza. In questo periodo pandemico gli ordinari protocolli sono purtroppo diventati improvvisamente inadeguati; c’è la necessità di contenere il rischio di contagio sia per i genitori che per gli operatori. Le ostetriche e i medici hanno dovuto nascondere i loro sorrisi rassicuranti e travestirsi da marziani, mostrando solo gli occhi dietro gli schermi trasparenti. Il padre è tornato a essere un ‘accompagnatore’, più spettatore che attore, anche se fortunatamente la maggior parte dei centri nascita ha deciso di permettere la sua presenza per tutto il periodo di travaglio e parto, limitando invece l’accesso negli spazi di degenza a poche ore al giorno (in alcuni ospedali invece è stato escluso dalla corsia fino al momento della dimissione). La famiglia ne risulta ‘ferita’, molte aspettative della coppia deluse o fortemente ridimensionate. Il momento della nascita, normalmente socializzato con amici e parenti, si è visto rinchiudersi in uno spazio forzatamente privato.

Allora come fare a ritrovare la necessaria sintonia? Come rimodulare la vita di coppia per preservare il valore di un momento così significativo della propria vita? Ovviamente l’originalità del momento che stiamo vivendo impedisce di attingere a precedenti esperienze e nessuno purtroppo possiede soluzioni predefinite. Dobbiamo armarci di grande umiltà e pazienza e inventarci modalità nuove e ancora mai utilizzate.

In questo frangente il neonato è del tutto ignaro di quanto succede. Lui proviene da un altro mondo e i suoi comportamenti sono regolati da schemi biologici antichi e perfetti. Lui sa sempre cosa fare. Nelle sue domande, fatte di pianti e sbadigli, ci sono (un po’ nascoste) anche le risposte. Allora i genitori possono provare a partire da lui, vederlo come il centro del mondo, concentrandosi su di lui e dimenticando per un momento quanto stanno raccontando i telegiornali. Questo ‘staccarsi’ dalla contingenza è abbastanza naturale per le madri: da centinaia di migliaia di anni hanno dato alla luce bambini sotto i bombardamenti, durante le carestie e le alluvioni, riuscendo sempre a trovare la strada giusta. Le mamme devono sapere che nessuno meglio di loro (se pure con l’aiuto necessario) è in grado di rispondere ai bisogni del proprio bambino. I dubbi e le paure di sbagliare in questo periodo di contagio sono aumentati, ma le risorse delle mamme superano ogni evidenza scientifica, perché il loro agire è concentrato e finalizzato a quel bambino in quel preciso momento del suo sviluppo.

Il papà è l’altra risorsa, lo sguardo ‘altro’, che assieme a quello della mamma completa il quadro. Allora un’altra strategia può essere quella di condividere tutto quello che succede, sia sul piano delle emozioni (inevitabilmente ambivalenti) sia su quello delle idee. Se il padre non è ammesso in corsia, fortunatamente, abbiamo gli strumenti supertecnologici ad aiutarci, e quindi con telefonate e videochiamate possiamo ugualmente condividere le informazioni che ci vengono dagli operatori e quello che combina il bambino. E’ quindi possibile fare a distanza quello che, in situazioni normali, avremmo fatto assieme. Non è la stessa cosa, ma può aiutarci a non perdere pezzi e a mantenere il filo fino al momento di poterci riunire.

E’ importante tenere presente che il bonding ha nei primi momenti della nascita un periodo sensibile molto intenso, ma quelle ore per fortuna non rappresentano qualcosa di unico e di esclusivo. Lo sanno bene i genitori dei bambini prematuri: in queste situazioni il neonato viene separato dalla mamma e portato in terapia intensiva, i genitori hanno contatti parziali con il bambino e solo al termine della fase intensiva possono gradualmente accedere a un libero e spontaneo contatto fisico. Eppure, anche se attraverso una strada diversa e più impervia, queste situazioni giungono ugualmente a realizzare un bonding profondo (in molti casi anche superiore a quello delle normali condizioni, proprio per le difficoltà che è stato necessario superare). Se la mamma è affetta da Covid con sintomi polmonari importanti è necessario separarla dal bambino durante la fase acuta; per fortuna questa fase è di breve durata e, nel frattempo, appena le condizioni di salute lo permettono, è possibile procedere con la spremitura del seno, evitando di compromettere l’allattamento al seno (che in questa epidemia rappresenta una importante protezione).

Per limitare i contagi nessun centro nascita, in questo momento, ammette l’ingresso ai parenti. I nonni e gli zii devono attendere con pazienza e sfruttare gli strumenti informatici: videochiamate con smartphone e tablet permettono di vedere le smorfie e il singhiozzo del piccolo, pontificare a distanza sulle multiple somiglianze, verificare se viene utilizzata la cuffietta fatta all’uncinetto o la copertina della bisnonna. Non poter socializzare questi primi giorni dal parto provoca senz’altro amarezza, però dobbiamo ammettere che presenta anche alcuni vantaggi: i genitori sono meno impegnati a gestire le relazioni con amici e parenti, mamma e bambino sono meno stanchi e hanno più tempo per loro, i ritmi della famiglia sono meglio regolati sui loro bisogni e vengono meno i classici ‘consigli non richiesti’.

Anche per i fratellini occorre trovare modalità originali. Normalmente ci si concentra per preparare il primo incontro in ospedale, questa volta invece la conoscenza tra i fratelli avviene a casa. Questa nuova situazione potrebbe essere un vantaggio, perché la camera di degenza è un luogo sconosciuto e pertanto poco adatto a un momento così intimo, e poi occorre salutare e tornarsene a casa… Trovarsi il fratellino direttamente a casa, nel proprio contesto di vita, rappresenta una facilitazione. L’incontro va comunque preparato fin dai giorni in cui la mamma è ancora in ospedale; a differenza dei parenti, in questo caso è meglio evitare di usare gli strumenti digitali per far vedere mamma e fratellino; un bambino ancora piccolo potrebbe farsi fantasie confondenti su quanto sta succedendo. Meglio attendere l’incontro fisico, durante il quale c’è la possibilità di osservare da vicino il nuovo nato, accarezzarlo, esplicitare domande, farsi un’idea concreta.

In conclusione, in questo periodo pandemico, credo che per i genitori possa essere utile seguire il principio che “per problemi straordinari non servono logiche ordinarie”; è più utile ricorrere al pensiero laterale e lasciare emergere la creatività del momento. Le madri e i padri che vivono l’esperienza del mettere al mondo sono le persone con maggiori risorse (mentali e fisiche) per individuare soluzioni originali e per inventarsi un nuovo modo di diventare genitori. Il loro bambino, la loro bambina, ignari di quanto succede attorno a loro, sapranno accompagnarli senza paura in questa speciale avventura.