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Da alcuni mesi la nostra vita è stata stravolta. Malattie e decessi, isolamento forzato, annullamento di vita sociale e attività ludiche, famiglie spaccate; attività produttiva bloccata, aerei e treni fermi, economia al collasso peggio di una guerra mondiale; luoghi di culto deserti e inutili, non è possibile sposarsi né divorziare, neppure l’ultimo saluto a un defunto è concesso (questo credo che non abbia precedenti nella storia dell’umanità).

Se però abbiamo la fortuna (come per me) di poterci spostare per lavoro vediamo che l’inverno è finito ed è arrivata la primavera, gli alberi hanno messo le gemme come al solito e i bulbi si sono svegliati dal lungo letargo; il mondo naturale, animali compresi, sembra indifferente al Coronavirus, anzi, l’assenza di mobilità e attività umana sta producendo effetti benefici sull’ambiente: sembra di essere tornati a un paio di secoli fa, quando non c’erano mezzi motorizzati a inquinare e spaventare gli altri esseri viventi. Abbiamo visto meduse nei canali di Venezia, delfini nel porto di Genova, cervi e caprioli
tra le auto parcheggiate in periferia.


Noi soffriamo come non mai, l’ambiente naturale e gli altri esseri viventi stanno benissimo, anzi, stanno meglio. Allora può essere che il problema siamo noi? Che abbiamo esagerato? Che abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, cambiandogli il titolo e etichettandolo come ‘progresso e sviluppo’? Ma quale progresso, se basta un organismo invisibile, così fragile da non riuscire neppure a replicarsi autonomamente, per far saltare tutta la nostra complessa organizzazione e annullare ogni nostro progetto?

La grande civiltà umana, che ha occupato ogni spazio del pianeta e anche dello spazio circostante, che ha dominato cielo, terra e acqua, si trova in ginocchio. Eravamo un castello di carta e non lo sapevamo? O semplicemente non siamo riusciti a mantenere la misura e abbiamo forzato il motore fino a farlo saltare? Il grande scienziato del mondo naturale ci aveva spiegato che nell’evoluzione l’organismo più forte è quello con maggiore capacità di adattarsi all’ambiente: l’impressione invece è che abbiamo piegato il contesto per adattarlo al nostro interesse, per sfruttarlo e usarlo per il nostro piacere.

Allora potremmo fare ammenda, riconoscere l’errore di superbia (che è poi il mitologico peccato originale) e decidere di cambiare strada, di prenderne una più difficile, meno piacevole, ma più sicura. Lasciare la via dove si corre e si consuma, e prendere quella più sobria, dove l’impatto ambientale è contenuto, dove si cammina e si pedala, dove si mangia sano. Sappiamo che resiste meglio alla infezione da Covid-19 chi è normopeso, chi si alimenta in modo attento, chi ha un buon metabolismo, chi non è stressato, ma non sappiamo perché è avvenuto tutto questo. La domanda fondamentale del ‘perché’ è del tutto elusa, scomoda e fastidiosa, perché la risposta rischierebbe di schiacciarci contro il muro delle nostre responsabilità.

Che messaggio pensiamo di dover dare ai nostri bambini e ragazzi? Che insegnamento riteniamo di dover trarre da questa sconvolgente esperienza? Passata la tempesta torniamo a fare quello che abbiamo sempre fatto? In attesa della prossima piccola o grande crisi? I nostri figli e nipoti hanno davanti a loro una vita intera, che indicazioni pensiamo di dare loro? Il mondo degli adulti ha oggi una responsabilità enorme, la politica non sembra all’altezza del compito, la scuola forse sì o forse no, la scienza è divisa e in confusione.

Ma il momento è adesso. Se non ora quando?