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Un risultato oltre la soglia del 40% non era stato previsto da nessuno. Personalmente consideravo un successo raggiungere il 35%. Si tratta di una vittoria personale di Matteo Renzi, del suo stile e del suo operato da premier. Appoggiai la sua candidatura già durante le primarie con Bersani; nei dibattiti pubblici di quella campagna elettorale sostenni che Renzi rappresentava l’unico politico di centrosinistra in grado di battere (o contrastare) Grillo sul suo terreno e di strappare consensi all’elettorato moderato di centro (aggiungevo che senza centro in Italia negli ultimi 60 anni nessuno aveva ancora governato). Queste elezioni europee confermano le intuizioni di allora e permettono di vedere con maggiore chiarezza la strada politica dei prossimi anni.

Il consenso del nuovo PD di Renzi non ha nulla a che fare con la vecchia DC. Si tratta di un diverso modo di intendere l’azione politica, più concreto, più dinamico, più aperto all’innovazione, meno legato a ideologie precostituite e a logiche di opportunità. Credo che si stia lentamente realizzando quanto descritto a inizio ‘900 da Max Weber: il passaggio dalla logica del principio a quella della responsabilità. Questo rinnovamento è ottenuto senza i traumi evocati da Grillo, senza urlare o sputare sentenze, senza bisogno di demolire completamente l’edificio politico, ma operando con precisione e decisione le necessarie modifiche alla struttura esistente. Le rivoluzioni hanno sempre costruito su macerie fumanti, il più delle volte a prezzi umani e politici di gran lunga superiori ai nuovi vantaggi. L’azione di Renzi vuole essere riformatrice utilizzando il dialogo e il confronto, e la giusta dose di compromesso, nella logica di ottenere la migliore soluzione possibile. In questo senso Renzi e Grillo sono agli antipodi. Gli italiani hanno mostrato di credere nel primo, mostrando di condividere la stessa speranza e visione; del secondo ha spaventato il tono e soprattutto la poca affidabilità della proposta.

Con questo voto Renzi ha dimostrato che l’idea originale dell’Ulivo, e la successiva visione veltroniana, non erano impossibili. Occorreva soltanto la persona capace di rivolgersi a un elettorato più ampio, senza con questo perdere di credibilità o annacquare gli ideali fondativi. Sono convinto che anche le diverse correnti interne al PD riconosceranno questa storica opportunità della sinistra italiana e sapranno fornire il loro specifico e prezioso contributo. Da queste elezioni dobbiamo imparare l’importanza della scelta dei candidati: se a Parma fossimo stati più attenti non avremmo subito la pesante sconfitta del 2012, evitando alla città un’amministrazione particolarmente incompetente.

Ora però il problema è quale maggioranza riuscirà a governare in Europa. Nei 28 paesi membri si è vista un’imbarazzante percentuale di astensionisti, i gruppi euroscettici sfiorano il 20%, l’asse franco-tedesco è definitivamente rotto, la distanza tra sud e nord è aumentata. Il leader del PPE Juncker cercherà di ottenere l’incarico e, in caso di fallimento, è già pronto Schulz del PSE, con Verhofstadt dei liberal-democratici che si sente l’indispensabile ago della bilancia. Il vero terremoto è il FN di Marine Le Pen e il partito di Hollande caduto ai minimi storici. Per fortuna ogni partito antieuropeo lo è a modo proprio e non riesce a stabilire alcun tipo di alleanza con gli altri (anche i nostri 15 parlamentari cinquestelle andranno probabilmente a scaldare la sedia). Ancora una volta tutte le speranze sono in Renzi e nel semestre di presidenza italiana che, grazie al voto di ieri, può iniziare con sano ottimismo e concreta speranza.